La Cina trasforma la propria economia e sceglie di valorizzare la protezione ambientale.
Purificare l’aria, depurare le acque e produrre energia pulita è l’obiettivo che il governo si è posto con il Tredicesimo Piano Quinquennale. Le province cinesi sono protagoniste di questo processo e stanno promuovendo investimenti locali in ognuno di questi settori.
Le deliberazioni sul 14esimo piano quinquennale della Cina, relativo al periodo compreso tra il 2021 e il 2025, sono state in cima all’agenda delle Due Sessioni svoltesi a Pechino. È subito emersa la conferma del nuovo paradigma economico che seguirà il Paese da qui ai prossimi anni: sviluppo equilibrato e sostenibile.
Il governo cinese si impegnerà a promuovere la trasformazione ecologica dello sviluppo sociale ed economico. Da questo punto di vista, i settori principali del sistema economico cinese – cioè quello manifatturiero, dei trasporti e dei consumi – dovranno migliorare le prestazioni ecologiche entro il 2025, per poi arrivare alla definitiva svolta entro il 2035. Ragion per cui le industrie ad alta intensità energetica e più inquinanti – dall’acciaio alla produzione della carta – cambieranno presto registro, adottando metodi di produzione sostenibile.
Le regioni chiave per garantire lo sviluppo sostenibile del paese sono particolarmente ricche di risorse naturali ma anche fragili, come Qinghai e Tibet dove si concentrano, ad esempio, le principali sorgenti idriche del paese.
Nel complesso, la Cina ha già raggiunto risultati ammirevoli. Un rapporto del Ministero dell’Ecologia e dell’Ambiente ha evidenziato infatti come il Paese sia riuscito ad abbassare l’intensità del carbonio del 18.8% nei cinque anni precedenti al 2020, superando l’obiettivo ufficiale fissato al 18%. La Cina sta quindi riducendo sempre di più la propria dipendenza dai combustibili fossili, aumentando nel contempo il consumo totale di energie rinnovabili. Nelle intenzioni del governo, non a caso, c’è un altro obiettivo prestigioso: entro il 2035, quasi tutte le nuove auto vendute dovranno essere ibride o NEV (new-energy vehicles)
Lo scorso settembre Xi Jinping aveva annunciato che la Cina raggiungerà la neutralità carbonica entro il 2060. A dicembre aveva poi svelato qualche dettaglio in più, rivelando ad esempio che entro il 2030 il paese ridurrà del 65 per cento la sua intensità di carbonio e che la quota delle fonti non-fossili nel consumo di energia primaria arriverà al 25 per cento.
Il distacco dal carbone, in particolare, rischia di essere complesso per via del gran numero di persone che lavorano nell’industria e che potrebbero rimanere disoccupate.
Il passaggio sarà allora probabilmente “morbido”, in modo da ridurre il rischio di instabilità sociale legato ad eventuali licenziamenti di massa, tale eventualità preoccupa sicuramente il Partito Comunista Cinese.
Un taglio dei posti di lavoro, benché meno brusco, potrebbe però esserci lo stesso: l’assemblaggio di turbine eoliche o di pannelli fotovoltaici richiede molta meno manodopera rispetto ad una miniera.
Il governo cinese non punta semplicemente a rendere ecosostenibili le proprie industrie, bensì intende per questa via contribuire a rendere il mondo un posto migliore per tutta l’umanità. Questo infatti è il nobile scopo della green economy: una crescita legata alla valutazione dell’impatto che le azioni umane hanno sull’ambiente. Precisamente è una forma di economia che prevede investimenti pubblici e privati in favore di atti che mirino ad avere una maggiore efficienza energetica, portino alla riduzione delle emissioni di CO2 e cerchino di salvaguardare l’ecosistema. La green economy mira dunque ad uno sviluppo sostenibile: uno sviluppo in grado di assicurare «il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri».